domenica 16 marzo 2008

Valentina Belfiore


Valentina Belfiore matricola 263627

La presenza delle tecnologie digitali nello scenario della progettazione è un avvenimento tutto sommato recente, soprattutto se se ne considera l’effettiva convergenza verso un corpo organico, dalle profonde interconnessioni. Gli elementi che autorizzano a guardare con fiducia verso il futuro sono molteplici: la velocità del rinnovo tecnologico in questo settore, la maturazione di una generazione di progettisti digitali, i miglioramenti continui nella fruibilità dei sistemi e nella trasparenza delle interfacce. In più, se si considera che fino a poco tempo fa i terreni in cui ci si trovava ad operare erano relativamente inesplorati, oggi possiamo far riferimento ad un’ampia casistica di esperienze di successo nell’applicazione della tecnologia, le quali testimoniano il raggiungimento di livelli, se pur non definitivi, ma significativi al punto di trarre utili indicazioni di percorso. Il rapporto tra computer e progetto è una sfida e una direzione di ricerca molto stimolante, che però per le sue profonde implicazioni non può ridursi ad una banale informatizzazione, sensibile esclusivamente ad aspetti funzionali e tecnologici. Caratteristica di base dell’elettronica è che il supporto che contiene l’informazione (numerica, alfabetica, vettoriale..ecc.) non è rigido (carta, pietra, laterizio) , ma può mutare con la velocità della luce. I vantaggi sono ormai noti. L’informazione varia continuamente, la parola viene verificata e affinata, il numero sostituito sempre con un altro, i pilastri si inspessiscono, le piante si allungano. Tutto può essere archiviato con facilità, e poi richiamato e di nuovo trasformato. È probabilmente proprio questo carattere di versatilità a rendere i computer macchine altamente competitive e sempre più insostituibili in qualunque attività umana. Macchine che, sempre più spesso, permettono di svolgere un determinato compito più velocemente e con maggiore efficienza e precisione di quanto non avrebbe fatto con tecniche tradizionali. Ma questa serie di facilitazioni deriva, solo dalla differenza tra un supporto elettrico e immateriale e uno rigido. Nella realtà questi vantaggi pratici non hanno quasi niente a che vedere con l’aspetto veramente centrale dell’informatica. Quella dei computer è infatti una rivoluzione culturale a tutti gli effetti: modifica in modo strutturale le basi cui la società si fonda, i rapporti e i ruoli sociali, l’organizzazione del lavoro, la percezione del tempo e dello spazio. In più, tutto ciò avviene a velocità impensabile, in tempo reale.

Gilles Ivain, alias Ivan Chtcheglov, architetto e teorico francese di origine russa, scrive nel 1953, con lucida osservazione , un’anticipazione di quello che sta per succedere all’architettura grazie all’informatica:

L’architettura di domani sarà dunque un mezzo per modificare le concezioni attuali del tempo e dello spazio. Sarà un mezzo di conoscenza e un mezzo di azione […] Il complesso architettonico sarà modificabile. Il suo aspetto cambierà in parte o del tutto a seconda della volontà dei suoi abitanti. Sulla base di questa civiltà mobile, l’architettura sarà – almeno nei suoi esordi – un mezzo per sperimentare i mille modi di modificare la vita, in vista di una sintesi che non può che essere leggendaria”.

In questa nuova realtà, che sarebbe poco serio non ammettere, la progettazione architettonica è basata su una serie di ipotesi (che il progettista pone sulla base di sue intuizioni) e su una possibile soluzione che progressivamente viene verificata e affinata attraverso l’ausilio di strumenti adeguati, e nel nostro specifico sono strumenti digitali. Gli elaborati che distinguono un progetto tendono così ad essere organizzati in un “modello”. Questa potenzialità spinge l’architetto a iniziare a padroneggiare una filosofia della simulazione, ossia ad usare il progetto non solo per raffigurare, decidere e descrivere, ma una struttura che di volta in volta “simuli” il comportamento del sistema edificio. Per fare un esempio, è possibile creare un modello matematico di un edificio da restaurare con un’impostazione costi-benefici. In questo caso si renderanno espliciti non solo i costi delle possibili operazioni edilizie (come abitualmente viene fatto), ma anche di presumibili benefici. Un modello di questo tipo non è più solo di tipo descrittivo, ma diventa uno strumento per orientare le scelte; esso verrà usato più e più volte al fine di trovare la soluzione complessivamente migliore.

Ci sono tuttavia ulteriori livelli di simulazione, quello che ad oggi risulta sicuramente più inseguito, e a ben vedere lo sarà nel prossimo futuro, è la simulazione realistica. Un modello tridimensionale può fornire delle immagini con una qualità di definizione vicinissima alla realtà attraverso sofisticati effetti di ombra, rifrazione, assorbimento della luce dei diversi materiali, ed è possibile avere più viste alternative di uno stesso ambiente cambiando di volta in volta i parametri base. È possibile dunque verificare insieme agli altri partecipanti preposti ad un progetto, l’effetto di una soluzione progettuale rispetto ad un’altra, nell’insieme delle sue componenti visuali e quantitative. È dunque un modello “vivo” inconcepibile con strumenti tradizionali che permette simultaneamente molte attività fondamentali per la ricerca in architettura.

Nella concretezza del fare della progettazione contemporanea questa idea del modello è la chiave per garantire moltissimi aspetti: la presenza dei diversi ambiti di specializzazione tecnologica ed impiantistica, la comunicazione a distanza, la gestione dei database, la collaborazione tra esperti diversi, la prototipazione e poi anche la vera e propria realizzazione delle componenti attraverso quello che è chiamato CAM (Computer Aided Manufacturing). Un approccio di quest’ultimo tipo è proprio quello che ha in Frank Owen Gehry il suo più alto riferimento. Gehry parte da uno schizzo che è volutamente una sorta di ipotesi complessiva. Si tratta di una sorta di idea “possibile” del progetto. Questa ipotesi prende progressivamente forma in una numerosissima serie di verifiche e viene continuamente perfezionata. L’edificio finale viene governato da un modello complessivo che ha già incorporato un ampissimo numero di elementi di controllo. Diverso è il tipo di approccio processuale. Non si tratta della concretizzazione di un’idea formale, ma della prefigurazione di un’architettura a partire da un codice generatore e regolatore che è esclusivamente elettronico. Gli esiti del progetto dipenderanno quindi solo da una serie di variabili (matematiche) che faranno evolvere quel codice verso una forma piuttosto che un’altra. Una della figure di riferimento in questa direzione è Peter Eisenman, che ne ha ripetutamente scritto nelle sue pubblicazioni e interviste.

Ma la direzione verso il futuro spinge attraverso una nuova chiave di progettazione, una nuova architettura. Lo spazio creato sempre più veicola all’interno del suo particolare sistema di relazioni un insieme molto complesso di informazioni. Lo spazio architettonico non è un semplice spazio naturale, questa costruzione convenzionale raggiunge livelli ancora più alti (se è possibile) per i continui intrecci con le concezioni costruttive, estetiche, tecnologiche. Essere dentro un’architettura significa essere dentro un’organizzazione fortemente pensata di materia. Ne nasce un’idea di spazio iperinformatizzabile, le cui interconnessioni sono oramai dinamiche. Gli architetti di nuova generazione, stanno lavorando in questi anni esattamente per capire come i modelli dinamici, interconnessi, mutabili che rappresentano il cuore della rivoluzione digitale posso entrare in questa nuova architettura. Quello che si prospetta è uno spazio fatto di salti, di sovrapposizioni e soprattutto di relazioni dinamiche, e quindi di interattività. Questa è la vera centralità della ricerca architettonica in questa fase storica che guarda all’informatica. L’interattività permette di creare significati altri, sistemi ipertestuali: non è forse l’ipertesto, attraverso Internet, che rappresenta con i suoi links una componente irrinunciabile del nostro modo di pensare oggi? L’interattività pone al centro il soggetto (variabilità, riconfigurabilità, personalizzazione) invece dell’oggettività (serialità, standardizzazione,duplicazione) e gioca strutturalmente con il tempo e indica una continua riconfigurazione spaziale che cambia i confini consolidati sino ad oggi sia del tempo che dello spazio. L’interattività in questo contesto comporta che l’architettura debba tendere a essere immagine e somiglianza dell’informatica stessa, continuamente modificabile, e diventare un ambiente sensibile in costante trasformazione; un ambiente che può reagire e adattarsi al mutare dei desideri degli utenti attraverso la creazione di scenari percorribili come fossero ipertesti.


Quella che l’architettura tenderà sempre di più ad inglobare, sarà un’interattività fisica, essa stessa potrà mutare consentendo di esprimere il variare delle situazioni e dei desideri. Da diversi anni si studia come l’architettura possa muoversi meccanicamente, e nel prossimo futuro si studierà soprattutto il modo per far si che questo movimento sia armonioso e poetico. Jean Nouvel ha mostrato nell’Istituto del Mondo Arabo a Parigi, come far trasformare l’architettura in maniera intelligente in risposta al cambiare delle situazioni climatiche ed ambientali. Non soltanto quindi, si può modificare interattivamente una serie di meccanismi legati direttamente all’elettronica (dalle luci agli elettrodomestici, alle musiche, ai sistemi di controllo), ma anche i materiali stessi possono mutare con delle microfibre nei rivestimenti, nel vetro, addirittura nei nuovi marmi (cambiare nella grana, nella porosità, nella capacità di assorbimento del suono e del colore). L’architettura dunque può reagire, ma può anche interagire, cioè adattarsi al mutare dei desideri degli utenti attraverso scenari percorribili come ipertesti. D’altronde questo aspetto sta ormai entrando in un’idea avanzata di sistema elettronico che si chiama domotica in cui anche diverse aziende italiane sono all’avanguardia. Questo concetto di intelligenza condivisa e distribuita offre numerose possibilità di miglioramento della qualità della vita, in termini di sicurezza (attiva e passiva), di risparmio energetico, di comfort e intrattenimento, di fornitura e controllo remoto dei servizi. E, particolare importante, le tecnologie domotiche possono avere un ruolo di rilievo nella soluzione di significativi problemi sociali, quali l’assistenza a disabili e anziani non autosufficienti o le azioni di sostegno ad aree territoriali svantaggiate. Appare ad oggi plausibile che in futuro, continuando un percorso già iniziato, sempre più la tecnologia wireless sarà una condizione tecnologica necessaria, anche nel campo della progettazione architettonica. In generale, la tecnologia wireless ha un funzionamento analogo a quella con cavi. L’utente inserisce dati in un dispositivo dotato di un software di connessione, che li converte in un formato adatto alla trasmissione. L’idea vincente sta però nell’aver eliminato l’utilizzo di cavi, sfruttando le onde radio a bassa potenza, oppure in altri casi, la tecnologia ad infrarossi ed il laser. Un’innovazione, questa, che appare quanto mai adatta in ambienti di lavoro dislocati in punti fisicamente distanti. L’assenza di limiti spaziali permette di scambiare dati, più o meno complessi, a distanza (la ricerca tende nella direzione di aumentare il raggio di azione). Il caso sopracitato della domotica è probabilmente una delle aree di applicazioni più esemplari, in quanto sarebbe impensabile che molte della azioni (o piuttosto interazioni) elettroniche siano gestite con l’utilizzo di una rete infinita di cavi. Ma ancora più vicino alla categoria dei progettisti è la virtualizzazione e l’integrazione delle risorse. Il sistema Grid computing, ad esempio, consente di condividere e gestire gruppi di risorse come se si trattasse di un unico, grande computer virtualizzato: grazie alla tecnologia wireless, è possibile per i diversi collaboratori ad un progetto, intervenire con modifiche e verifiche in qualsiasi momento e ovunque.


Si è parlato fino ad ora di una vastissima scelta di opzioni che l’architetto,ad oggi, ha a disposizione per la progettazione assistita. Non si è ancora accennato però che queste rimangono ad oggi, pur nelle loro apprezzabili ed auspicabili potenzialità, ancora strumenti di una minoranza di esperti. Per troppo tempo nel nostro paese, informatizzazione della progettazione si è spesso limitata ad investire nell’acquisto di computer. Altri importanti aspetti legati alla scelta, all’apprendimento e alla comprensione critica del software (troppo spesso selezionato con criteri banali, perché “lo usavano tutti”) veniva dedicata un’attenzione minima. L’incomprensione della reale portata della tecnologia ha portato ad un’operazione che, a ben vedere, corrisponde ad un impiego delle tecnologie disponibili al loro livello più basso, e che ad oggi è diventato del tutto marginale. Troppo ridotto è l’investimento in formazione; insufficiente la ricerca di nuove soluzioni. Sicuramente vi è poi una forte sottovalutazione dell’impatto che le nuove tecnologie potrebbero avere nell’organizzazione del processo progettuale. In questa prospettiva il sospetto è che, tra le ragioni dell’ostilità della comunità dei progettisti verso i sistemi computerizzati, ci siano anche un pizzico di cieca difesa di categoria e pigrizia culturale.

Riferimenti Bibliografici:

- - Progettare nell’era digitale. Il nuovo rapporto tra design e modello. Nicolò Ceccarelli. Marsilio Editori, Venezia. Ed. 2002

- - Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura. Antonino Saggio. Carocci Editore, Roma. Ed. 2007

- - Architettura e rappresentazione digitale. Alberto Sdegno. Libreria Editrice Ca’Foscarina, Venezia. Ed.2002

- - Perché gli Edifici stanno in piedi. Mario Salvadori. Strumenti Bompiani, Milano. Ed. 2003





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